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Educazione e l’addestramento alla Libertà

“Ti addestrerò e sarai libero”: il soldato andava forgiato alla guerra ma prima di tutto andava protetto finchè non avesse imparato. Ecco cosa voleva dire addestrare: proteggere e formare.
La vita di molti cani randagi è una battaglia persa con l’esistenza proprio per non aver trovato nessuno che li proteggesse.
La prigione del canile non è altro che il luogo dove l’uomo custodisce tutti quei cani meno fortunati che non avendo incontrato chi se ne prendesse cura sono approdati in una vita sociale non meno peggiore della strada. Una strada che si trasforma in pericolo per loro e li trasforma in pericolo per l’uomo.
Allora dov’è la chiave? La risposta è che la chiave è nel concetto di libertà.
L’uomo e il cane sono due animali spiccatamente sociali, e la vera libertà di un animale sociale non è fare ciò che crede, ma sta nel coesistere solo attraverso regole condivise.
Condividere è possibile solo per quei cani che trovano nel loro destino l’amore di una famiglia.
Quando un cane non trova l’amore di una famiglia o di un solo uomo è impossibile approdare ad una condivisione.
Questa è la storia dei randagi: non aver incontrato, o peggio avere perso per essere stati abbandonati, l’amore, la protezione e quindi il dialogo con l’uomo.
Come noi proteggiamo i nostri bimbi attraverso dei paletti che dobbiamo mettere loro sino a quando non giungano a discernere autonomamente così dobbiamo pensare di metterli ad un cane.
Dovremo proteggerli per tutta la loro vita coscienti di dover utilizzare un linguaggio come quello che useremmo con un bimbo di tre anni.
Nessuno di noi direbbe mai che privare un bimbo di tre anni della possibilità di attraversare “liberamente” una strada possa voler dire di privarlo della libertà!
Allo stesso modo l’opportunità di insegnare ad un bimbo la condizione di allontanarsi dal nostro fianco o di stare seduto non può essere certo considerata una dinamica vessatoria.
Così saper camminare al guinzaglio accettare di sedersi su richiesta e magari riuscire a stare seduto per qualche istante devono essere piccole regole del vivere in comune.
Regole che sottintendono alla reciprocità più chiara: per l’uno di essere libero di viversi il proprio cane e per l’altro di essere libero di venir tirato fuori dal giardino o dalla casa per godersi anche il resto della vita fuori dai soliti odori, ma sempre insieme al “fido” a due zampe rasserenato dalla certezza che il suo “bravo cane” non lo trascini nella corrente del fiume in piena delle pulsioni da lupo travestito. Insomma ognuno la libertà deve concederla all’altro rispettando delle regole.
Ma sta ad un padrone sensibile, visto il suo ruolo di animale superiore, di stabilire con sensibilità i canoni del vivere insieme.
Non si può certo pretendere di pensare che si possa lasciare al cane una morale autonoma fuori dalle mura o dal giardino della propria casa come non la lasceremmo ad un bambino piccolo!!!!
Queste regole, che vengono da un papà o da un padrone, se nel primo caso sono il frutto della pazienza di innumerevoli comportamenti di protezione, che mettono dei paletti nelle fondamentali quanto pericolose esplorazioni dei bimbi, nel secondo caso sono la stessa identica cosa purchè risulti comprensibile con l’opportuna “rivisitazione canina” degli scambi semiotici da adottare: sguardi, suoni, gesti.
E così: siedi, vieni, fermo, no, bravo hanno la stessa identica valenza educativa non certo di privazione della libertà. . . .Ecco come addestrare ed addestrarsi alla libertà . . .

Tratto dall’articolo di Giovanni Giacobbe sulla rivista ENCI “i nostri cani” Dicembre 2011

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